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La versione online del giornale del Campus Universitario di Savona



A volte ritornano...

Dopo alcuni mesi di inattività dovuta a qualche problema tecnico e qualcun'altro più spinoso di genere burocratico, eccoci tornati ad animare la vita al Campus con i nostri frizzanti articoli!

Attualità, eventi, cronaca, politica e poesia torneranno sotto ai vostri banchi per aiutarvi a passare indenni interminabili ore noiosissime di lezione!

VVR è il giornale di chi, come voi, vive con passione l'esperienza universitaria al Campus.

Seguiteci... Non ne rimarrete delusi!

Simone Trimarchi

martedì 29 maggio 2007

Intervista agli 'In vivo veritas'

Il 10 maggio 2007 si è conclusa con una grande festa la prima edizione del Festival Campus, tre giorni di musica organizzati dalla SACS, l'associazione degli studenti del campus universitario di Savona.
Ha vinto la formazone degli In Vivo Veritas composta da Alessandro Suffia alle percussioni e didjeridoo, Nicolò Lovanio alla fisarmonica, Antonio Micucci, la voce del gruppo, ed Emiliano Berchio alla chitarra.
Per saperne di più su di loro ci siamo fatti una bella chiaccherata.
-Complimenti, avete vinto il festival campus nella maniera migliore, facendo ballare la gente e concedendo anche molti bis!
"Sì, siamo contenti. Il nostro intento è quello di coinvolgere le persone e farle muovere. E quando ci riusciamo ci divertiamo talmente tanto che è difficilissimo femarci."
-Quanti anni ha questa formazione?
"Innanzitutto volevamo precisare che la formazione comprende anche un altro chitarrista-rumorista, Mirco Pedretti, che oggi non è potuto venire perchè è a casa con la moglie che aspetta un bambino, questa vittoria è anche sua.
È nata nell'inverno 2005, anche se ci si conosce da più tempo. In questi anni abbiamo trovato un'intesa che ci ha permesso di raggiungere un affiatamento, sia musicale che tecnico, tale da portarci a decidere di non provare più in sala per concentrarci, piuttosto, a sviluppare il modo di suonare dal vivo.
In questo modo possiamo perfezionarci sempre di più ad ogni concerto, acquisendo sempre maggior sicurezza, fino ad operare scelte tecniche come l'utilizzo di nuovi strumenti."
-Abbiamo notato una strana percussione...
"E' una percussione peruviana che si chiama Cajòn e ci siamo fatti costruire appositamente in legno policarbonato. A livello sonoro ti permette, a differenza della batteria, di suonare dal vivo in spazi piccoli come bar o piazzette, senza amplificazione e quindi senza coprire una fisarmonica piuttosto che una chitarra. Una cosa fondamentale per poter fare una musica popolare, sulla strada."
-Non provare prima richiede un approccio particolare con le serate dal vivo?
"Di solito in nostro approccio con i concerti si svolge in due fasi: nella prima sacrifichiamo una parte di repertorio per cercare di capire chi abbiamo di fronte, poi una volta riuscita a creare l'atmosfera cerchiamo di far muovere la gente. Suoniamo senza una scaletta precisa proprio per cercare di capire i gusti del pubblico."
-A proposito del vostro repertorio, abbiamo sentito anche alcuni pezzi di De Andrè. Una scelta molto impegnativa...
"Il problema è che ogni volta che facciamo un pezzo di De Andrè, che richiede arrangiamenti molto corposi, lo interpretiamo a modo nostro e non sempre piace alla gente, soprattutto a un pubblico come quello ligure per il quale quest'autore è sacro. Ma essendo noi liguri, lo sentiamo un po' anche nostro."
-Nella vostra musica si sente moltissimo la componente etnica, ma anche qualche sfumatura di folk. Quali sono le vostre fonti d'ispirazione?
"Noi veniamo tutti da esperienze diverse, quindi le nostre influenze spaziano, un po' a seconda dei singoli componenti, dalla musica irlandese o celtica a quella occitana, passando naturalmente per pizziche e tarante. In generale tutta la musica del folclore popolare.
Il piccolo brano che abbiamo letto sul palco stasera è preso da un libro scritto da Alcide Cervi che parlava di un'unità d'Italia basata sugli aspetti culturali e le diversità che trovano una dimensione di dialogo.
Pensiamo che questa band, nel suo piccolo, si rispecchi a questa realtà."
-In Vivo Veritas, da dove deriva il vostro nome?
"È il titolo del primo album dei "Mercanti di luquore", un gruppo milanese che abbiamo conosciuto grazie a Paolo Conte. Per noi ha anche un significato che si rifà a quello che dicevamo prima e che fa parte del nostro stile: la verità è dal vivo."
-Cosa ne pensate del mercato discografico italiano?
"L' impressione è sicuramente negativa. Per quel che riguarda il nostro genere, la risposta del pubblico è buona, però poi se accendi la radio non lo passano mai. In Italia il palinsesto delle radio è sempre lo stesso ripetuto tre volte al giorno. Siamo appena stati per una settimana in Irlanda a suonare, lì c'è molto più considerazione per la musica etnica."

-Avete mai pensato di potervi affacciare su un mercato straniero?
"Assolutamante sì, anche perchè l'estero offre molte possibilità anche a livello di esibizioni. Noi l'abbiamo sperimentato, il rapporto con la musica eseguita così, fuori dai nostri confini è molto diverso."
-Che programmi avete dunque per il futuro?
"Al momento questo progetto su De Andrè ci ha portato via un sacco di tempo, ma per il futoro volevamo dedicarci a fare sempre di più cose nostre. Prossimamente suoneremo il 27 giugno a Savona, al Raindogs. Poi a luglio saremo il 7 a Cairo con gli Yo Yo Mundi e il 14 a Rocca Verano con lo spettacolo su De Andrè. "

Francesco Maggi


giovedì 24 maggio 2007

L'emozione si fa musica

Tutto esaurito al Datch Forum di Assago per una delle prime tappe del “Soundtrack Tour” di Elisa. Dopo ore di attesa sia all'esterno del palazzetto che all'interno lo spettacolo finalmente inizia.
Le luci si abbassano,tutto buio. Ci si addentra così in un mondo parallelo, Elisa fa il suo ingresso sul palco e un boato la accoglie. La prima canzone è “Stay”, uno dei nuovi singoli presenti nel suo album. Il concerto inizia e veniamo tutti trasportati dalla musica, da quella voce. Elisa canta, balla, sul palco è presente anche un coro gospel formato da sei elementi che contribuisce a dare quel tocco di “soprannaturale”. Sì, proprio così. La sua voce dal vivo è qualcosa di inimmaginabile, delicata e al tempo stesso potente. Elisa è stata in grado di toccare note così alte che veniva da chiedersi se fosse “normale” poter riuscire a cantare così. Era totalmente trasportata dalla musica, sembrava una piuma che volteggiava nell'aria fatta di parole e note. Ci annuncia che canterà “Almeno tu nell'universo”, si sa che la canzone tocca note altissime ma lei la interpreta seduta a gambe incrociate sul palco, come se fosse la cosa più normale e naturale del mondo. L'emozione è stata tanta e forte, sembrava che Elisa facesse l'amore con la musica; con la sua voce ha toccato le note più profonde di tutti noi, ci ha regalato brividi indimenticabili. Dopo lo spettacolo, persi ancora in quel mondo magico dov'eravamo stati, la mente tornava all'inizio del concerto. Prima che Elisa salisse sul palco, era apparsa un frase sul mega schermo posto alle spalle del palco: “ Tra noi non è finita e mai finirà”. Solo in quel momento riuscivamo a capirne profondamente il senso.

Marzia Costantino

Digitale si, digitale no..


Sono ormai quasi dieci anni che l’uomo conosce il digitale applicato alla musica… quasi dieci anni che la musica viene visualizzata in maniera elettronica grazie ad interfacce e a dispositivi hardware e software, spesso paradossalmente “non suonata”, sempre e comunque “aggiustata” dalla grande “officina digitale”.
Sono ormai preistoria i grandi e ingombranti registratori magnetici a nastro che venivano impiegati negli immensi studi di registrazione; simili come principio ai vecchi impianti a cassettina, per altro molto di moda oggi sui banchetti di fiere di modernariato e roba vintage, permettevano di registrare su supporto, si diceva, magnetico tutto il lavoro del musicista. Pizze di nastro, sorelle delle omonime impiegate in ambito cinematografico, che implicavano tempo, fatica e denaro, che scaldavano il suono tramite la valvola, che riproducevano l’esecuzione umana fedele. La musica era d’elite, non per tutti. I dischi erano un concentrato di co-operazione di produttori, direttori di studio, tecnici del suono, assistenti e non ultimi per importanza – i musicisti. I dischi venivano “vissuti”. Le produzioni non erano ancora gestite dalle multinazionali della musica, sponsor e televisioni commerciali; gli artisti che registravano venivano considerati dei veri e propri canta-autori.
Poi, piano piano, le cose hanno iniziato a prendere una via diversa.
La combinazione dell’informatica e dell’elettronica si è incontrata con la musica, nel senso più largo del suo significato. Programmi super professionali che distruggono gli schemi fin qua gestiti: il produttore, il tecnico del suono, l’arrangiatore si fondono in un tutt’uno – te stesso. Chiunque, grazie al digitale, diventa produttore della propria “robaccia” suonata – non si ha più bisogno di un’orchestra per suonare, il burattinaio della melodia diventa colui che sta davanti allo schermo.
Ovviamente il vile denaro entra in gioco, e come al solito, non poco; nel senso che non è proprio che tutti tutti ora possano fare musica allo stesso modo. La competizione in ambito musico-digitale è alta, la concorrenza è spietata. I programmi migliori supportano ovviamente interfacce e componenti informatiche dalle qualità eccellenti e di conseguenza dal costo a volte un po’ alto. Gli studi di registrazione moderni e migliori arrivano ad investire tranquillamente alcuni miliardi delle vecchie lire in computer, casse, amplificatori e mixer tutti gestiti da una “scheda audio” esterna, che raccoglie tutto al suo interno in questa scatola nera fatta di bit, ricreando la magia della musica. Schede audio ormai ce ne sono di tutti i tipi, gusti e dimensioni: ce ne sono alcune specifiche per un determinato tipo di suono, altre che puntano a mercati cosiddetti di nicchia, lasciando un impronta ben precisa sul genere di sound riproposto. In casa, ognuno, con non troppi euro, può dilettarsi a piacere davanti al monitor e davanti a questi “giochini” di una fedeltà impressionante, può comporre e stravolgere ciò che più vuole in ambito musicale – diventa direttore d’orchestra di se stesso, cantautore digitale. Un po’ come funziona per la fotografia digitale o per il video digitale, con i loro programmi annessi.
Cosa attende, dunque, al mondo dei musicisti? A che cosa va incontro tutto l’universo musica? Queste le due grandi domande che pone il sottoscritto e alle quali risposta non trova… che l’audio-digitale possa cambiare così tanto la musica da renderla una cosa sintetica, asettica e priva di ogni significato? Come farà a spiccare un genere musicale o un nuovo fenomeno commerciale o un nuovo movimento associato ad un determinato suono? ... in quest’era del digitale, dove tutti fan tutto … ma solo pochi lo fanno bene…

Stefano Pecchio

Troppo lontani per Cannes…


Secondo voi, quanto dista Roma da Cannes? Quanto ci vuole, se ci si mette di buona volontà, ad arrivare sulla Costa Azzurra partendo dalla Città Eterna?
La risposta è facile….troppo! Soprattutto se a dover percorrere la distanza non è una macchina ma il nostro cinema. In questo caso la distanza si dilata sempre più, fino a diventare uno spazio immenso.
Ha infatti avuto inizio da pochi giorni il sessantesimo Festival del cinema di Cannes, e per l’occasione noi non siamo stati invitati. Moltissimi sono i film che partecipano alla manifestazioni, alcuni arrivati direttamente dall’impero del sol levante, ma da Cinecittà assoluto silenzio.
Certo, possiamo consolarci pensando che almeno qualche attore made in Italy è riuscito ad “imbucarsi” alla festa, ma comunque questo non cancella il fatto che siamo stai completamente snobbati.
E volete sapere di chi è la colpa di tutto questo? Ancora una volta la risposta è molto semplice….nostra!
Sonno anni oramai che il nostro cinema sforna film mediocri, se non addirittura assolutamente brutti, che hanno annoiato un po’ tutti.
È passato il tempo del grande Sergio Leone e dei suoi Western, di Totò e delle sue battute, di Rossellini e della sua “Roma città aperta”. Ormai il pubblico italiano si emoziona per Scamarcio e per le storielle alla “tre metri sopra il cielo….”, film dove le ragazze piangono e i ragazzi ci provano facendo finta di apprezzare.
Ma se tutto questo può andare bene per noi, di certo non può andare bene per Cannes. Laggiù, sulla Costa Azzurra, non le vogliono le nostre storie strappalacrime, i nostri film tutti uguali dove l’unica differenza un po’ sostanziale è il nome diverso del protagonista.
Spero che questo faccia aprire un po’ gli occhi ai nostri registi, ai nostri sceneggiatori, a tutti i ben pensanti che subito hanno preso la nostra esclusione come una immotivata offesa, un terribile sgarbo.
Il cinema italiano sta lentamente morendo, ma sembra che a noi vada benissimo così. Ed è questa la cosa veramente tragica; che noi siamo capaci di fare bei film, ma sembra che ultimamente ce ne siamo dimenticati. E finchè non torneremo a ricordarci come si fa, Cannes sarà sempre troppo lontana per noi!

Michele
Nisi


Intervista ai Temple Rents

-pubblicato marzo-

Questo mese, per inaugurare la nuova redazione, ho deciso di intervistare uno gruppo musicale tra i più attivi e brillanti composti da studenti del nostro campus: i Temple Rents.
Per fare l'intervista capito proprio in mezzo ai festeggiamenti per il compleanno della nuova voce del gruppo: Phill. Non c'è niente di meglio, penso, per conoscerli, per vedere quant'è forte il loro legame al di fuori del gruppo, della musica insomma...Impossibile!
Quando sono entrata suonavano chiatarra, basso e non so come mai un paio di nacchere...Quando si trovano assieme qualsiasi cosa diventa uno strumento e l'atmosfera un po' fumosa con la luce soffusa e un torneo di Play in corso si riempe di note, di cori e di risate.
Beh insomma impossibile dividerli dalla musica, ma riuscirò a farli concentrare?
In qualche modo sì, abbiamo chiacchierato, e sono riuscita a carpire le informazioni che mi interessavano.
I Temple Rents sono una band composta da ragazzi provenienti da diverse realtà della scena alternativa ligure,l’età è compresa tra i 21 e i 24 anni e i membri sono sei :
PETER –voce
PHILL – voce
ESPE – chitarra
MAURO – chitarra
STIX – basso
MITCH – batteria
E fin qua ci siamo.
Il difficile è stato capire la vera risposta alla domanda per eccellenza di un'intervista ad una band:
-Da dove viene il nome del gruppo?
Ridono, mi raccontano diverse storie, alla fine mi sono convinta che quella vera venga dal suggerimentodi un loro amico che, in viaggio in America, ha visto un cartello con scritto “temple rents” ,letteralmente templi in affitto, e l'ha proposto.
Guardo Espe: “ci devo credere?” Mi sorride. Allora me lo appunto.
Subito accettato il nome è rimasto tale negli anni di vita del gruppo, sei, fino ad oggi.
Tornando ad essere seri mi spiegano qual'è il contesto musicale in cui si inseriscono,
parla Peter:
“Il panorama musicale,ora come ora è molto frammentato e i generi musicali non sono più definiti.”
-Tra definizioni fatte di ossimori, assonanze, accostamenti che stridono com'è la vostra musica?
"Samba, a cappella e Western Swing (ridono) no no, interviene Stix I Temple Rents propongono un mix di rock vecchia scuola, scremo e punk melodico.
I pezzi sono nostri, abbiamo solo una cover ed è un'eccezione.
Nella nostra musica ci sono particolari influenze da gruppi come Motley Crue , Eighteen Visions, Story of the Year, Bullet for my Valentine, Over It... "
(nel frattempo Phill mi sillaba i nomi e controlla che non sbagli negli appunti)
-Sono sei anni che suonate, che evoluzioni ha subito il gruppo?
"Il gruppo è cambiato gradualmente nel tempo, sia come componenti sia come livello di qualità delle musica. È normale. Il campus ha dato la svolta al gruppo, abbiamo la possibilità di vederci spesso e da due mesi abbiamo la nostra seconda voce Phill."
-Il primo live a formazione completa è stato il 10 marzo 2007 al Milk club di Genova.
Come vi siete trovati a suonare lì? E' un palco famoso.

Scattano sguardi d'intesa, e sorrisi istantanei: "Abbiamo spaccato."
Prima dell’arrivo del secondo cantante i Temple Rents hanno solcato i palchi più importanti della scena ligure suonando in locali come: Milk Club, Logo Loco, Madleine Cafè, Ju – Bamboo, Zapata e Babilonia... Hanno condiviso lo stage assieme a gruppi nazionali ed internazionali :
Teenage Bottlerocket (USA); Holiday With Maggie ( Svezia ); Down To Earth (Francia), Five O’s , Stinking Polecats, Agent Pazz, Marsh Mallows, Slide, The New Story…
Fondamentale per il gruppo il 2006, esce infatti un sampler per rock in Genova assieme ad Agent Pazz (ex chitarrista dei Bigoz Quartet) .
Nell’estate partecipano alla compilation di Lovekills Clothing assieme a grandi nomi della scena italiana come i The Fire, Gaia Corporation , The New Story... In distribuzione al Rock in Idro per 10000 copie .
Nel gennaio 2007 viene registrata una nuova demo con 2 pezzi che rispecchiano il nuovo sound della band con l’ingresso del nuovo cantante .
-Qual'è il vostro pezzo preferito?
“Ignition”.
-Perchè?
Stix: “perchè? Non c'è un perchè devi sentirlo e basta. E' l'energia.”
Peter: “è bello partire con quella, è tutta l'energia che mettiamo nel concerto, nel sangue.”
“è adrenalina pura, potente, è rabbia. E' sempre la prima, spacca.”
Stix: “quando la suoni in saletta, immagini centomila persone lì davanti, e ti piglia benissimo”!
Siamo arrivati alle domande conclusive ragazzi:
-Qual'è la cosa più bella che ricordate dei vostri concerti?
"Non c'è una avvenimento particolare, l'ultimo concerto al Milk è stato stupendo. Ma la cosa più bella è quando vedi la gente sotto al palco che canta le tue canzoni, si diverte e ci crede. E' bellissimo."
-Prima guardavate i palchi della città, come quello del Milk e sognavate di suonare lì sopra.
Ora che ci siete arrivati a quale guardate?

"Senz'altro puntiamo alla registrazione del disco a giugno di quest'anno che sarà auto prodotto e divulgato in lungo e in largo alla ricerca di un etichetta.
E poi ci sono un paio di date già programmate, tra cui il nuovo Festival del Campus."
Giusto! La musica entra, viva, dentro al Campus.
Allora aspettiamo di saltare con voi, nel frattempo mi alleno in casa ascoltandovi dal vostro sito:
www.myspace.com/templerents
Bene direi che è tutto.”that's all folks”
Mi ringraziano qualcuno dice “finalmente”, ridiamo e facciamo un brindisi alla prima intervista dei Temple Rents!
Buon lavoro e buona fortuna
Francesca Marzullo.


martedì 22 maggio 2007

Appunti di viaggio

Partenza dall’aeroporto di Genova ore 13.15 volo AF5842 Y. Arrivo all’aeroporto di Parigi ore 14.30. Breve giro per l’aeroporto Charles De Gaulle.
Partenza dall’aeroporto parigino alle ore 16.30 (ora locale) volo AF 64 Y destinazione Los Angeles (CA, United States). Arrivo a LAX ore 6.30 pm (ora locale).
Solo dure ore sulla carta in questo momento scritte, ma sulle spalle del sottoscritto ne son passate quindici?! Forse sedici? …non me lo ricordo! … in ogni caso tante.
Ci vogliono un paio di giorni per riprendersi dal “jet lag”, e non si pensi, prima di partire, che sia così sempre e solo per gli altri… il sottoscritto da arrogante ha pensato che il fenomeno non lo avrebbe interessato minimamente, ma non è stato così poi! passare tutte quelle ore su un aereo non è da poco per il fisico umano! Infatti, ripeto, i primi tre giorni sono caratterizzati da un forte “rincoglionimento”… Imbambolato, ti rendi subito conto che qui i tempi e gli spazi son dilatati, fortemente dilatati. Solo che ad attraversare la strada, in certi punti, c’impieghi quindici secondi di orologio! Secondi che, come conseguenza, girano più lenti… almeno, ripeto sempre per il sottoscritto.
I primi cinque giorni solitamente vedono una prima presa di coscienza sul dove sei, che fai, dove vuoi andare e come fare a fare tutto quello che vuoi fare… grande problema sono gli spostamenti, in zone dove è in pratica impossibile “girare” senza quattro ruote che “girano” con te.
La città di Los Angeles è strutturata su un superficie di non so quanti chilometri quadrati (non lo so e non lo voglio neanche sapere) divisa in zone caratteristiche l’una dalle altre… DownTown è il “centro”, il centro del commercio, inteso come “city” - uffici, grattacieli, magazzini, linee metropolitane, pinguini in giacca e cravatta con ventiquattrore mescolati ad individui sud-americani, afro-americani e asiatici “stile grand theft auto” Vice City (fedele per altro al videogame nei minimi dettagli). Poco importa di quest’area.
Affianco salendo leggermente verso Ovest e verso mare, più esattamente verso l’Oceano Pacifico, si incontra la collina di Hollywood, grande centro di attrattiva per i turisti che vanno, come il sottoscritto, a fare centinaia e centinaia di foto, ad una via che in realtà non ha nulla di fortemente attrattivo… a parte sempre i soliti negozi, negozi e negozi… Il famosissimo Chinese Theatre è il punto più “figo” di tutta Hollywood Blvd, il vialone dove c’è la “walk of fame” – quei piastrelloni dove son riportati i nomi dei personaggi famosi della storia dello spettacolo, sia esso cinema, musica, televisione etc.. I piastrelloni con le impronte degli attori che hanno registrato film sulla collina sono invece davanti al teatro, in una piazzetta dalle modeste dimensioni.
Per carità, non voglio essere frainteso – non sto distruggendo il mito… il detto vialone con negozi, centri commerciali, passeggiata della fama e piazzetta delle dediche con mani e piedi è un posto davvero meraviglioso! Pieno di gente che viene da tutto il mondo, che fa foto, si diverte, viene fermata da “comparse dei film” per fare foto in mezzo alla strada (spiderman, superman, star wars e jack sparrow – truccati uguali ai film) e tutti sembrano immersi in questo paesaggio surreale che non aiuta a capire se si è dentro alle riprese di un film o se sia una realtà vera, vissuta…
Proseguendo verso mare ci si imbatte nel piccolo ma comunque molto importante quartiere che è Beverly Hills – altra piccola collina di Los Angeles. Grandi ville, faraoniche nel tratto Bel Air, famoso per il “fresco principe”, dove effettivamente le dimensioni delle case iniziano a farsi “imbarazzanti” – si tenga conto che si nota “solo” la facciata delle case dai viali, ma se la facciata è quella… lasciamo stare, alla fine non è di particolare rilevanza “l’architettura di un quartiere” abitato dalla vera crema del cinema hollywoodiano e dei suoi derivati… Facendo un paio di Avenue ci si rende subito conto che è tutta così e che non c’è niente da fare o da vedere di particolare… son solo viali con le palme e case che è meglio non sognare… per non starci male.
Sotto la collina di Brad Pitt e soci c’è Santa Monica – campo base del sottoscritto e degli altri due esploratori in missione con lui… Degna di nota come forse il “fiore all’occhiello di tutta la città degli angeli”, non tanto per la bellezza quanto per la vita che si vive – una città a misura d’uomo (sempre tenendo conto dei parametri detti all’inizio), dove si vive senza troppi problemi. L’aria è distesa e rilassata, c’è molto rispetto sia per giovani che per anziani. I portoni degli appartamenti sono quasi sempre “aperti al pubblico” e i recinti dei classici praticelli all’americana con garage annesso, son alti mezzo metro o poco più – forse qualche piede. Il “progresso” lo si può toccare con mano in ogni punto della strada.
Bella, bella davvero Santa Monica – very nice come direbbero “loro”. Scendendo giù verso mare per SM Blvd si arriva alla spiaggia, sede di quasi tutte le puntate di Baywatch… Chilometri e chilometri di sabbia finissima e dorata che ti portano fino in Messico (primo padrone della California come territorio, poi spodestato dagli Stati Uniti).
La cittadina successiva è Venice Beach. Risulta davvero difficile descrivere questa zona, credetemi. Forse la più particolare e la più caratteristica; dove lo skate, il surf, la sabbia, il sole, le palme, gli artisti di strada e il gusto per la trasgressione si fondono in un tutt’uno, dando vita a questa cornice unica nel suo genere, che ammalia chi ci cammina e chi ci si immerge, dopo un po’, dentro. Il posto dove sono nati gli “hippies” per intenderci… Lascio immaginare a voi lettori.
Incredibile… Le riprese dei bagnini o di tutti i programmi che girano al pomeriggio su Mtv qua in Italia possono dare un taglio abbastanza preciso di quello che è la zona. Proseguendo verso sud i confini della città di Los Angeles iniziano a sfumare, inizia a non essere più città ma si passa a tanti “piccoli paeselli” in riva al mare disposti uno dopo l’altro e sempre molto simili in successione… Marina Del Rey, Manhattan Beach, Hermosa Beach, Redondo Beach, Long Beach, Newport Beach, Laguna Beach. Tutte e solo “Beach”. Tutto e solo Orange County – che non è il nome della fiction di Ryan e Seth, ma bensì il nome di tutta questa vasta regione della California. Piccola nota dell’autore: lo sceneggiato, per dirla all’italiana, che viene trasmesso qui da noi è la seconda scelta… “loro” la seguono Laguna Beach, che da noi non ha lo stesso successo, forse perché non pubblicizzato come il primo. Tutte le beach che si leggono due righe fa, sono solo alcune di tutte quelle presenti in questa parte di America. Il viaggio dentro ad esse da la possibilità di vedere cose mai viste prima, di gustare sapori particolari, di sentire profumi di mare trasportati al largo dal vento dell’oceano, che soffia sul viso di chi osserva. Accecato mi sento ora dal caldo sole californiano che tramonta… che brucia la sabbia di queste bionde spiagge, che si “attacca” quasi non volesse togliersi più, quasi come se dicesse – ora che ti ho contagiato, sarà difficile sbarazzarsi di me! …ed è così, credetemi

“Che Master Che Fa”

-pubblicato maggio-

“Fabio Fazio al Campus di Savona per inaugurare il Master in Programmazione e Produzione radiofonica e televisiva, e per tenere una delle prime lezioni”. Era proprio questa la notizia che girava da un po’ tra gli studenti e che, poco prima del 26 marzo, è stata confermata dagli organizzatori del Master.
Ebbene sì, tutto vero, il celebre conduttore di Rai 3 ha inaugurato Lunedì 26 marzo il Master di 1° livello organizzato dall’Università con la collaborazione della Spes e il finanziamento della Provincia, tenendo una lezione dal titolo “Fazio e la televisione”, nella palazzina Branca del nostro Campus.
Non molti gli studenti ad attenderlo, anche per la poca pubblicità che è stata fatta del suo arrivo, e quei pochi, appostati all’entrata della palazzina, speranzosi di riuscire ad ottenere il permesso per poter assistere alla sua lezione, si sono dovuti accontentare solamente di un saluto.
A pochi giorni dalla consegna del premio “E’ giornalismo”, per lo stile e l’educazione tipiche delle sue interviste, e alla vigilia della vittoria dell’Oscar della Tv, per il suo “Che tempo che fa”, come trasmissione dell’anno; il popolare conduttore di Rai3 è venuto a vedere “che tempo faceva a Savona”, e per la prima volta, nella sua città, è stato lui a salire in cattedra.
Tante sarebbero state le domande che molti di noi avrebbero voluto fargli, soprattutto in questo periodo in cui il suo programma è diventato uno dei più importanti nel panorama televisivo italiano.
Elogiato per la sua grande capacità di portare in tv persone di grandissimo livello che non si vedono mai sui teleschermi, riuscendo a farne emergere soprattutto la loro umanità; ma anche criticato da chi lo considera troppo buonista e servizievole nei confronti dei suoi ospiti ai quali, dicono, non ponga mai domande “scomode”; Fabio Fazio resta oggi, soprattutto in questo periodo televisivo, in questa televisione sempre più volgare, uno dei migliori conduttori, e a chi gli pone delle critiche risponde rivendicando fermamente il “piacere della conversazione” e la volontà di non cercare lo scontro con chi ha di fronte, ma bensì il dialogo. Anche per questo il suo programma, sempre più spesso, viene definito una sorta di “isola educata”, una “boccata d’aria fresca” all’interno della televisione italiana, sempre più ricca di scontri, litigi e dibattiti non sempre civili. Un programma nato non troppo facilmente, che in origine ha dovuto lottare con gli indici di ascolto, ma che oggi, a distanza di circa quattro anni dal suo debutto, ha saputo assicurarsi un posto d’eccellenza. Chiaro ed ottimo esempio di infotainment, ovvero di quella “fusione”, a volte anche positiva, che può avvenire tra informazione ed intrattenimento. Già, proprio l’intrattenimento, e in questo caso, non si può non prendere in considerazione l’ormai celeberrimo intervento domenicale di Luciana Littizzetto, in grado addirittura di raddoppiare i dati d’ascolto, e di tenere incollati al teleschermo circa otto milioni di telespettatori. Il “duetto” tra Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, molti amano definirlo così, un quarto d’ora di puro divertimento in cui la vera protagonista non è solo la celebre comica, ma anche il conduttore, perfetta spalla al monologo della Littizzetto. Sembra davvero che non conosca nulla di quello che lei andrà a dire, (e forse è proprio così!), la sua faccia che si scandalizza davvero alle esclamazioni, a volte un po’ colorite, della comica torinese, è davvero imperdibile. Il classico bravo ragazzo imbarazzato per le affermazioni di una comica impertinente, momento eccezionale, quasi perfetto.
Eh già…il classico bravo ragazzo, perché in realtà a lui non dispiace fare il bravo ragazzo, e diciamo che gli viene anche bene; anche se molti non la pensano così e non sopportano proprio questa sua aria da “primo della classe”. Indipendentemente dalle critiche, però, basta schiacciare gli altri tasti del telecomando e vedere sconosciuti appena usciti da una casa di Cinecittà che litigano in uno studio la domenica pomeriggio, o cosiddetti “opinionisti” che discutono animatamente in un “Arena”, sotto la guida di un Giletti qualsiasi, per capire che, forse, c’è di peggio.

“ComunicAzione al Campus”

-Intervista a Duccio Forzano-
-pubblicato maggio-

“La regia è il vestito del programma. Perché, vedi…la televisione è luce. Quando sono arrivato da Fabio gli ho detto: io la scenografia la voglio grigia, e mi hanno risposto: ma è triste?...lo so che è triste, ma poi la faccio diventare allegra io…perché, ogni ospite avrà la sua connotazione; infatti, i cambi di luce sono un momento di spettacolo che durano un secondo, ma sono una magia che puoi fare solo se progetti quella cosa, non puoi improvvisare. Se venite in studio nel momento in cui ci sono le luci di servizio, la scenografia è tristissima, non c’è niente, in realtà è vestita dalla luce”.
Così, Duccio Forzano, regista di “Che tempo che fa” e uno dei migliori registi televisivi italiani, descrive il suo lavoro, sottolineando soprattutto l’importanza della luce all’interno di un programma, ma anche dell’impatto visivo che questo deve avere sul telespettatore; caratteristica che cerca sempre di non far mancare ai suoi spettacoli.
Il famoso regista, già a Savona da una settimana, in occasione del Master in Programmazione e Produzione Radiofonica e Televisiva ha, infatti, tenuto giovedì 19 aprile, un incontro pubblico nella Palazzina Branca della Spes, inaugurando così, “ComunicAzione al Campus”: una serie di incontri con importanti personaggi del mondo della comunicazione che, nei prossimi giorni, avranno luogo qui a Savona. Noi del giornalino abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e non abbiamo perso l’occasione per farci svelare qualche curiosità e qualche trucco in più riguardo ai suoi programmi e, soprattutto al suo lavoro di regista.
La curiosità era davvero tanta, saremmo rimasti a parlare di televisione e regia per delle ore, ma evidentemente questo non era possibile, così ci siamo accontentate di qualche domanda.
Francesca rompe subito il ghiaccio chiedendo qual’ è il ruolo della regia in un programma fondamentalmente statico, come il talk show di Fabio Fazio e Forzano non se lo fa ripetere due volte, cominciando a farci notare quanto in questo caso sia fondamentale il “tocco del regista” e quanto in certe situazioni, possa essere più importante un piano d’ascolto, piuttosto che una parola. “Nel caso di Fabio Fazio, la difficoltà vera è ascoltare, anticipare, cercare di aiutarlo ad entrare, magari anche ad interrompere a gamba tesa rispetto al suo ospite…sono dettagli che, però, fanno sì che quando vedi l’intervista godi molto di più, è più fluida, funziona di più”. Questo vuol dire che il regista non è solo un esecutore di ciò che scrivono gli autori, non si deve limitare a riprendere quello che accade in studio, ma deve metterci del suo, deve raccontare, soprattutto per le persone che stanno a casa, perché, in realtà, in quel momento è lui che decide cosa deve vedere il pubblico.
Incuriosite dai racconti di Forzano, gli domandiamo se un regista può incontrare delle difficoltà nel momento in cui accetta di occuparsi di un programma; ovvero quanto si sente, e soprattutto, quanto ha la possibilità di cambiarlo, di lasciare la propria firma. Molti sono i problemi che si possono incontrare, e che Forzano ha incontrato, dopo averci raccontato qualche aneddoto, ci dice:“Ho trovato la strada migliore per portare a casa un progetto: sono sceso a compromessi…non è vero che non bisogna scendere a compromessi…certo, ad un certo tipo di compromessi…però bisogna cercare di capire anche chi sta dall’altra parte”. Questo è stato il suo consiglio: nel momento in cui si porta avanti un progetto, è bene non perderne mai di vista l’importanza, non smettere mai di credere in quello che si fa ed aspettare il momento giusto per proporlo e per portarlo avanti.
Tra una chiacchierata e l’altra, è già passato un quarto d’ora, ed è arrivato il momento dei saluti; io e Francesca usciamo dall’aula insieme a Forzano, e ci salutiamo con la promessa di non perdere i contatti e di continuare a sentirci, dopodichè entrambe ci guardiamo e pensiamo che ci sarà sicuramente una cosa che non dimenticheremo mai di questo incontro e che, certamente, non dimenticheranno neanche i tanti studenti presenti alla sua lezione: la passione per il suo lavoro, il suo volto pieno di gioia mentre ci racconta qualche aneddoto particolare o mentre ci spiega qualche dettaglio tecnico, insomma, la sua capacità di coinvolgimento, la sua voglia di raccontare la propria esperienza, il piacere di poterlo fare e di poter trasmettere e insegnare qualcosa. Ci voleva proprio un incontro del genere per non farci perdere le speranze e continuare a credere che un giorno forse, anche noi “potremmo farcela”.

Corriamo

-pubblicato maggio-

Corriamo

Corriamo, corriamo.
Verso dove o cosa non si sa, forse verso niente.
Corriamo per vivere,
corriamo per sopravvivere,
corriamo per dimenticare
ma non cancellando nulla dalla nostra memoria.
Corriamo e non sappiamo perché,
ipocriti e veri al tempo stesso.
Corriamo verso un futuro che mai avremo,
corriamo per essere ciò che vogliamo
ma alla fine saremo ciò che ci converrà essere
o ciò che converrà vedere agli altri.
Corriamo con le nostre incertezze e le nostre paure,
con la nostra sicurezza e i nostri sogni.
Corriamo verso l’ignoto e lo temiamo.
E continuiamo a correre
Fragili come bambini,
corriamo forti come un uomo sicuro nelle tenebre.
Corriamo perché vogliamo una vita nuova
Ma senza lasciare quella che già abbiamo.
Corriamo, corriamo e correremo
Ma un giorno ci fermeremo
E
accorgendoci della nostra inutile corsa,
forse ,
sentiremo di essere arrivati.

Una playlist per...iniziare l'estate di slancio!

-pubblicato maggio-

Bryan Adams: Summer Of '69Una canzone che già da sola parla di onde e spiagge, pronta a marchiarsi a fuoco nei ricordi dell'estate che verrà...
Beach Boys: Surfin' USAIn una playlist estiva non può mancare il gruppo estivo per eccellenza. Canzone già sentita miriadi di volte ma che non scade mai nel banale. Da gustarsi preferibilmente assieme ad un paio di drink in riva al mare.
Bob Marley and The Wailers: Positive VibrationsUna canzone rilassata e solare per accompagnare le calde sere d'estate a suon di buono e sano reggae...da gustarsi con gli amici e preferibilmente.....lasciamo perdere...
Blink 182: The Rock ShowPer ricordarci che d'estate è più facile per tutti fare i cazzoni!Genuina e perfetta per prepararsi all'atmosfera da ombrellone...
The Pipettes: Pull ShapesDisco del 2006 ma atmosfere tipiche degli anni '60, giusto per rievocare un pò le corse estive sulla Lambretta che vediamo ormai solo nei film...
Fall Out Boy: This Ain't The Scene...Dopo un intro quasi Disco, la band di chicago fa esplodere tutta la sua energia. Perfetta per una serata da bagordi a base di amici, ragazze e tanta birra!
Tommy Lee feat Benji Madden: TiredAlzi la mano chi almeno una volta non ha mollato la propria ragazza/o per l'avvicinarsi dell'estate e del clima olio abbronzante-chiappe al vento...questa la canzone per trovare le parole giuste!Marpioni...
Sugar Ray: When It's OverLa colonna sonora delle sette di sera...quando ormai in spiaggia non c'è quasi più nessuno e si crea quella luce pallida ed un pò malinconica che ci lascia lì, sognanti a guardare l'orizzonte...
The Offspring: Want You BadLa colonna ufficiale dei festoni da un centinaio di persone...sullo stile di quelli che vediamo in American Pie...e se poi ci scappa pure lo schiuma party come nel video...beh meglio!
QUESTO MESE SU
http://www.myspace.com/:Twisted Family: Se Non Vedo JahDal ponente ligure arriva questa band reggae davvero emozionante. 'Se Non Vedo Jah' è la canzone perfetta per risvegliarsi dopo una festa ben riuscita...magari con a fianco qualcuno di molto gradito...

Aggressione al circolo RainDogs

-pubblicato maggio-

Nella notte tra venerdì 30 e sabato 31 marzo al RainDogs di via Chiodo, nuovo circolo Arci del panorama savonese, si respirava aria di festa.
Era da poco finito un concerto jazz, e i musicisti si rilassavano tra il pubblico in un'atmosfera rilassata tipica di quei locali un po' fuori dagli schemi, quando un evento repentino come un fulmine a ciel sereno veniva a funestare quel clima.
Verso le prime ore del sabato, infatti, un gruppo di otto naziskin prendeva letteralmente d'assalto il circolo con lanci di pietre e bottiglie accompagnati da cori inneggianti al fascismo costringendo gli avventori del locale a barricarsi all'interno.
Dopo un quarto d'ora di insulti e intimidazioni, vissute con sgomento e un po' di paura da parte della gente all'interno, lo squadrone si allontanava indisturbato infierendo su alcuni segnali stradali durante la via di fuga.
A quasi un mese di distanza gli investigatori della digos fanno luce sull'episodio identificando i colpevoli, alcuni dei quali minorenni, in individui noti per le loro appartenenze a gruppi del tifo violento, provenienti non solo dal savonese ma da tutta la Liguria.
Secondo gli inquirenti l'aggressione è stata premeditata e pianificata alcuni giorni prima e la causa scatenante sarebbe una rivalità nata tra gli spalti di una partita di calcio, mettendo così in evidenza un punto di contatto tra ideologie politiche e tifo calcistico.
Gli otto sono indagati per danneggiamento aggravato, violenza privata e tentate lesioni.
Sembrerebbe la bravata sconsiderata di un gruppo di giovanissimi, violenti, un po' ignoranti se vogliamo, ma pur sempre ragazzini.
Ma l'aggravante della matrice politica del gesto dovrebbe invitare a riflettere.
E' preoccupante, infatti, che vi siano gruppi di giovani pronti a dimostrare il proprio dissenso con moti violenti inneggianti a un passato buio della storia d'Italia.
E, soprattutto, bisognerebbe interrogarsi sul fatto che purtroppo casi del genere ultimamente sono sempre più frequenti.
Francesco Maggi

Italia da scoprire: Perugia

-pubblicato maggio-

Italia da scoprire: Perugia
Si dice come l’Umbria sia il “cuore verde dell’Italia” e in effetti per raggiungere in treno la città di Perugia si attraversano colline e si intravede il lago Trasimeno, immerso nella natura. Si arriva poi alla stazione che rimane in basso, ai piedi della collina, occorre poi prendere un bus che tra mille curve porta fino alla parte antica della città, sulla sommità della collina. Da lassù il panorama è splendido, un tappeto ondulato verde che si perde in lontananza, punteggiato qua e là da paesi e chiese arroccate. È piacevole camminare per le strade del centro storico, è tutta una zona pedonale, le macchine e l’architettura moderna non sono arrivate tra queste costruzioni antiche in pietra, i bei palazzi storici, come il Palazzo dei Priori, la Fontana Maggiore ed la Cattedrale di San Lorenzo non sono stati intaccati dal secolo presente, e sembra di essere tornati indietro al tempo del rinascimento. Si può proporre un giro nella Galleria Nazionale dell'Umbria che si trova all’interno di uno dei più bei palazzi sulla via principale, in essa trova spazio un’importante collezione, la più completa della regione Umbria, che espone in sequenza cronologica e articolata per scuole la produzione di artisti operanti sul territorio dal XIII al XIX secolo. Il percorso inizia con la scultura duecentesca, testimoniata tra l'altro dalle cinque sculture di Arnolfo di Cambio, eseguite tra il 1278 e il 1281 per una scomparsa fontana pubblica. La pittura umbra prima dell'avvento di Giotto ha come protagonista il Maestro di S. Francesco (Croce, 1272); di grande rilievo anche il "dossale" di Vigoroso da Siena (1291).Tra le opere del '300, "Madonna col Bambino" di Duccio di Buoninsegna e il "polittico di Montelabate, firmato da Meo da Siena verso il 1317. Tra le grandi espressioni del rinascimento fiorentino, "il polittico di S. Domenico" del Beato Angelico e "il polittico di S. Antonio" di Piero della Francesca. Tra gli altri autori, assumono particolare rilievo nel percorso espositivo le opere del Perugino, tra le quali la "tavoletta" (1473) facente parte della cosiddetta nicchia di S. Bernardino e il "polittico di S. Agostino", capolavoro della maturità. Allievo del Perugino, il Pinturicchio è presente tra l'altro con l'imponente "pala di S. Maria dei Fossi" (1495-96).La pittura del '500 è documentata da autori locali come Domenico e Orazio Alfani, da Raffaellino del Colle e dal fiorentino Giovanbattista Naldini. Il Seicento vede come protagonisti Ventura Salimbeni (La Vergine col Bambino e S. Giovannino), Orazio Gentileschi (S. Cecilia che suona la spineta) e altri; per il Settecento sono esposte opere di Sebastiano Conca e Pierre Subleyras.
Dopo questo affascinante percorso nell’arte dei secoli scorsi passeggiando per le strade si possono incontrare moltissimi giovani, infatti Perugia ha una particolare vocazione universitaria, che fin dal XII secolo ha accolto studenti forestieri provenienti da tutta Europa. È presente una Università per Stranieri che mira a diffondere la lingua e la cultura italiana, sono poi presenti moltissime facoltà, (solo la facoltà di Ingegneria è un po’ decentrata, in mezzo alle colline) senza dimenticare il Conservatorio di Musica e l’Accademia di Belle Arti, che è una delle più antiche italiane. Da vedere è anche la città sotterranea, cui si può accedere liberamente tramite un sistema di scale mobili. Ci si lascia facilmente tentare dolcemente dal cioccolato esposto nelle vetrine delle pasticcerie del centro, che ha il suo massimo nella manifestazione “Eurochocolate”, cioè una rassegna internazionale dedicata al cioccolato, che trasforma la città in un’animata cioccolateria all’aperto, nel mese di ottobre. Si ricorda ancora l’appuntamento con “UmbriaJazz Festival” , una della principali manifestazioni d’Europa che per 10 giorni a Luglio propone un fitto calendario di concerti, oltre a sagre, feste e corse podistiche che riempiono tutti i mesi dell’anno. Una città che offre tante cose da fare e vedere!
Federica T.

Guida galattica per autostoppisti

-pubblicato maggio-

Guida galattica per autostoppisti: un film da vedere assolutamente!(a meno che non abbiate letto il libro)
Estremamente ed in un certo senso sorprendentemente fedele all'umorismo di
Douglas Adams, Guida galattica per autostoppisti è un film di fantascienza molto originale e soprattutto particolarmente divertente. Prodotto, in un certo senso, 'postdemenziale', è soprattutto un distillato colto ed ironico di tanto cinema e letteratura SFX. Il libro di Adams era, sulla carta, difficilissimo da rendere sul grande schermo per la sua costruzione brillante ed al tempo stesso caustica, ma raffinata. Prodotto da Jay Roach, lo stesso filmaker alle spalle di commedie come Ti presento i miei e Austin Powers, Guida galattica per autostoppisti mantiene la voce off del narratore (Stephen Fry, in originale...) per spiegare tutti gli insoliti e imprevedibili passaggi della trama. La storia vede protagonista Arthur Dent, un cittadino inglese qualunque che una brutta mattina scopre come la sua abitazione stia per essere abbattuta e lasciare dunque spazio ad una nuova autostrada. Per una strana coincidenza, questo è anche quello che accadrà alla Terra dopo un paio d'ore. I Vogon, degli alieni enormi e burocraticamente ritardati, senza pietà, demoliscono l'intero pianeta per fare posto a un'autostrada (spaziale). Fortunatamente per Arthur, il suo migliore amico non è un terrestre qualsiasi, ma un alieno in incognito che lavora per la mitica Guida galattica per autostoppisti. L'inseparabile Bibbia di qualsiasi essere voglia andarsene a spasso per l'universo. Dopo una rocambolesca fuga dal pianeta solo qualche secondo prima che diventi polvere cosmica, i due amici finiranno prima su un'astronave Vogon, poi su quella dello scioperato (e vanitoso) Presidente della Galassia Zaphod Beeblebrox che, oltretutto, qualche sera prima aveva rimorchiato a una festa Trisha, una ragazza che Arthur aveva conosciuto prima e di cui si era invaghito, ma a causa del suo poco spirito d’avventura la ragazza si era fatta immediatamente affascinare dall’idea di viaggiare sull’astronave del Presidente e aveva lasciato su due piedi Arthur. L'astronave di Zaphod e Trisha McMillian che si fa chiamare Trillian, è rubata. I Vogon li inseguono e a bordo del gioiello di tecnologia c'è anche Marvin, un avanzatissimo robot con una grande personalità e un'iperbolica crisi depressiva che in inglese ha la voce di Alan Rickman. Perché questa lunga fuga? Per cercare la domanda fondamentale alla risposta data dal Supercomputer Pensiero Profondo (Helen Mirren, in inglese) più di sette milioni di anni prima: "42". Cosa significhi questo numero nessuno lo sa, ma la risposta potrebbe spiegare il senso dell'intero universo. E' così che i cinque personaggi (per non parlare di due topolini bianchi clandestini...) si imbarcheranno in un'Odissea spaziale con pochi precedenti e punti di contatto con il passato. Un viaggio cosmico paradossale e pieno di pericoli che il male assortito gruppo di autostoppisti galattici porterà a compimento nella maniera più sgangherata a imprevedibile possibile: a contatto con creatori di mondi, alieni che hanno inventato prima il deodorante e poi la ruota, topi che hanno commissionato la costruzione del pianeta Terra. Tutti gli ingredienti dell'esilarante romanzo di Adams che si ritrovano in un film dalla matrice fortemente ironica e volutamente insolita.Certo, non tutti potranno essere soddisfatti dell'adattamento del libro di culto scritto da Adams. Eppure, oltre alla consapevolezza che non tutti possono essere soddisfatti, bisogna pensare a quanto stia stato complicato adattare un romanzo come questo.Quello che è più importante è come la produzione abbia saputo conservare lo spirito di Adams cui il film è dedicato e soprattutto le regole dell'universo dal lui descritto nella guida galattica. Un plauso va anche alla versione italiana il cui doppiaggio è stato curato da Roberto Morville di Buena Vista: oltre all'esilarante canzone dei delfini che apre il film, un momento di pura genialità è dato dal monologo della balena che cade sul pianeta, la cui voce appartiene ad uno straordinario Daniele Formica. Un momento di comicità pura perfettamente in linea con lo spirito del romanzo e del film. Pur non risultando né straordinario, né tantomeno indimenticabile, Guida galattica per autostoppisti è una perfetta trasposizione dell'anima del libro e soprattutto delle caratteristiche dei suoi personaggi. Sebbene possa risultare, in alcuni momenti, eccessivamente accentuato l'elemento demenziale, Guida galattica per autostoppisti resta un lungometraggio molto piacevole, originale e divertente. Ma sopratttutto una grande dichiarazione d'amore nei confronti della fantascienza cinematografica e non solo, interpretata da un gruppo di attori perfetti nel misurarsi con i personaggi creati da quel talento indimenticabile di Douglas Adams.
F.M.

In Punta di penna

-pubblicato maggio-

E’ stupefacente scoprire come, nel mondo di oggi,
inflazionato e sommerso dalla comunicazione tecnologica
e mediatica, emerga con prepotenza il bisogno della
scrittura.
Forse l’uomo moderno, in contatto sempre più veloce con
tutti, omologato con le realtà e le culture mondiali, soffre
di un eccesso di dilatazione dei confini, di un’universalità
che moltiplica le conoscenze e le informazioni, ma
polverizza l’io, conducendolo ad una solitudine abissale.
Scrivere è allora il mezzo per rivendicare il diritto ad
esistere come individuo, oltre il flusso vertiginoso e
caotico delle informazioni, per ridefinire gli spazi interiori,
per recuperare i tempi fermi e lunghi della coscienza, per
ascoltare, in un silenzio riconquistato, i battiti del proprio
cuore, per sperimentare nuovi percorsi intellettuali e
fantastici, in cui riconoscersi come protagonisti di una
scena che appartiene solo a noi stessi, divenendo creatori
di qualcosa che opponga resistenza alla consunzione e
all’oblio.
Raccontarsi e raccontare, attraverso la parola scritta è,
allora, volontà di testimoniare e di comunicare in
profondità, attingendo al nostro vissuto, al bagaglio di
memorie, di esperienze, di cultura, ricreandoli sulla pagina
come proiezione durativa del nostro mondo segreto.
E’ rivendicare, in una società spersonalizzata e
spersonalizzante, un nuovo diritto di cittadinanza alla
persona.
Il gesto di scrivere è già di per se stesso rivelativo di
un’esigenza di dirsi, di fermarsi nel tempo, mezzo per
esprimere la consapevolezza di sé e del mondo.
Intraprendere il lavoro della scrittura equivale ad
intraprendere un viaggio dentro di sé, rielaborare, dandogli
una direzione di senso, i nostri cammini cognitivi, emotivi,
fantastici, su cui possiamo tornare indefinitamente, in un
continuo processo di analisi e di autoanalisi che
arricchisce la crescita e l’evoluzione personale.
Questo spiega il successo dei tanti corsi di scrittura
creativa (che fioriscono dovunque), in cui, ovviamente, se
non si insegna (né la si potrebbe insegnare!) la creatività,
le sollecitazioni allo scrivere, con interventi mirati e
strumenti adeguati, hanno la funzione di incanalare e di
stimolare quella necessità di aprirsi agli altri e di riflettere
su stessi che solo la scrittura riesce a soddisfare.
I risultati che si ottengono sono spesso superiori alle
attese, a volte addirittura sorprendenti.
E’ il caso di questa breve ma significativa antologia “In
punta di penna”in cui, i giovani e i meno giovani che si
sono cimentati con la scrittura, hanno dimostrato che il
piacere di scrivere per raccontarsi, può trasformarsi
davvero anche in creazione, narrativa, lirica e fantastica,
andando ben oltre il semplice sfogo autobiografico e
terapeutico.
Basta leggere i testi qui presenti per rendersi conto dello
scatto immaginativo operato sulla realtà dal processo della
scrittura che, coagulando nella parola il vissuto di
ciascuno degli autori, ha consentito di trasferirlo in quello
che Popper chiama il mondo 3, il mondo della creatività
letteraria.
Privi della presunzione di essere e di proporsi come
grandi scrittori, i nostri autori dimostrano tuttavia di
possedere una ben definita fisionomia scriptile, facendo
emergere, nella pronuncia scritta, il proprio io, come
risultante delle varie esperienze della vita, intessute di
ricordi, di dolori, di gioie, di segrete e talora inconfessate
pulsioni e, anche, di variegate ascendenze culturali,
originalmente ricreate nel loro universo espressivo.
Senza voler entrare nel merito di ciascuno scritto,
lasciamo al lettore il piacere di scoprire come tutti, se lo
vogliono, possono diventare scrittori, lungo un tragitto
virtualmente infinito che corrisponde alla crescita del sé
nel tempo e nello spazio.
Questo volume, che nasce come bilancio del Corso di
Scrittura creativa tenuto dal prof. Rossi, con il patrocinio
dell’Assessorato alla cultura di Sestri Levante, è
documento e memoria dell’esistere stesso, testimoniando
la perenne vitalità di quel “ superfluo della vita”, fatto di
immaginazione, sentimento, sogno, creatività, che
costituisce l’essenza vera dell’uomo: forse la sola ancora
di salvezza, nella franante deriva dei valori dell’età
contemporanea.
Graziella Corsinovi
Docente di Scrittura creativa -Scienze della
Comunicazione -Facoltà di Genova

venerdì 18 maggio 2007

Caso Barricata

-pubblicato marzo-

In una realtà come quella savonese, le alternative per i giovani non abbondano di certo, è risaputo.
E' così che la pensavano i ragazzi che, uniti sotto il nome di collettivo “Barricata”, il 15 dicembre scorso occupavano l'ex sede del mercato civico di piazza Bologna, uno stabile abbandonato al degrado da anni nel cuore di un quartiere storico di Savona come Villapiana.
“Vogliamo che Savona abbia uno spazio di aggregazione che non sia la solita discoteca o i pub che sono in Darsena. Vogliamo costruire uno spazio aperto di confronto tra i giovani e un'area in cui si possa fare musica o esporre quadri. Un locale accessibile a tutti, dove non esistano razzismi o differenze di ceto, ma soltanto uno scambio di parole, musica e integrazione sociale. Locali impossibili da trovare in città.”, così proclamavano la sera stessa quando, dopo aver passato il pomeriggio a ripulire il luogo con un'organizzazione degna della migliore esperienza di autogestione, cominciavano ad attirare l'attenzione dei vari rappresentanti politici locali e, pertanto, delle forze dell'ordine.
Dopo un po' di curiosità iniziale da parte degli abitanti del quartiere, le reazioni furono buone.
“Bravi ragazzi! Finalmente fanno qualcosa per recuperare quel posto divenuto rifugio per topi, dove da anni gli spacciatori nascondevano la roba! Quasi quasi vado ad occupare con loro!”, diceva una signora anziana di passaggio, “In un batter d'occhio hanno ripulito tutto, sono volenterosi e ben organizzati!”, un avventore di un vicino bar che teneva sotto controllo la situazione.
E così il giorno dopo il parroco della chiesa adiacente consentiva ai ragazzi di allacciarsi all'elettricità della parrocchia e gli abitanti di piazza Bologna portavano focaccia e brioches calde agli occupanti, partecipando con entusiasmo all'assemblea nella quale si discuteva di creare uno spazio non solo per giovani ma aperto a tutti.
Dopo tre mesi di mediazioni seguite in prima persona dall'assessore ai lavori pubblici Livio Di Tullio, si era quasi giunti ad un accordo, dove il collettivo Barricata si impegnava a sgomberare l'ex mercato civico e consegnare spontaneamente le chiavi al Comune, il quale a sua volta si impegnava a ricollocare il centro sociale in una nuova sede, ancora da sistemare, già individuata in piazzale Amburgo, a Legino, al posto del vecchio canile municipale.
Ma proprio mentre si stava per apporre la firma, gli agenti della digos si presentavano in piazza Bologna per formalizzare l'atto di sequestro dello stabile in conseguenza dello sgombero firmato dalla Procura.
E così l'impegno di mediazione profuso dal Comune è stato vanificato e la speranza dei giovani di ottenere considerazione e rispetto dalle istituzioni drasticamente ridimensionata.
“Avevamo raggiunto un accordo consensuale, onestamente questi sigilli ci hanno un po' sorpreso”, cade dalle nuvole l'assessore Di Tullio, “Comunque non cambiamo la nostra posizione. Ai ragazzi abbiamo detto che ci impegnamo a trovargli una nuova sistemazione entro qualche mese, il tempo che serve per fare i lavori di adeguamento delle varie strutture interessate. E così faremo.”
Nel frattempo quattro membri del collettivo Barricata sono stati convocati in procura ed hanno ricevuto un avviso di garanzia. Invasione di edifici pubblici il reato contestato.
Ed attendendo nuovi sviluppi, i giovani savonesi sono costretti ad accontentarsi di quel poco che la cittadina gli offre.

Francesco Maggi

giovedì 17 maggio 2007

bruno @ festivalcampus

Per il video si ringrazia Federico Beltramini.